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Articolo di Data Journalism

la crisi del porto

Il terminal commerciale del Porto Canale di Cagliari è in crisi, ormai, da più di un anno. La diminuzione del traffico di merci è evidente, tuttavia ci sarebbero ancora i margini per attrarre a Cagliari investimenti e traffico navale. Bisognerebbe attuare diverse iniziative: defiscalizzazione, creazione di un tessuto industriale e artigianale che crei intorno alla struttura le condizioni per la trasformazione delle merci nel capoluogo, sviluppo della cantieristica navale e adeguamento delle strutture alle esigenze dei nuovi scambi. Il tracollo, sempre più drammatico, è frutto soprattutto del cambiamento delle dinamiche internazionali dei grandi colossi navali che hanno deciso di ottimizzare i costi e i viaggi attraverso l’utilizzo di navi giganti (ognuna contiene l’equivalente di circa 4 navi normali) riducendo il numero dei viaggi ed ovviamente dei porti in cui effettuare le operazioni di Transhipment (smistamento dei container da navi più grandi a navi più piccole e viceversa, che portano le merci ai mercati finali).

Il porto industriale di Cagliari, chiamato comunemente porto canale di Cagliari, è stato costruito negli anni ottanta. E’ un’infrastruttura realizzata per lo smistamento e il trasporto delle merci in container. Per la sua posizione, quasi al centro del Mediterraneo un centro logistico strategico per i traffici marittimi da e per l'Europa, i paesi del Medio Oriente e il nord Africa.

Il sistema infrastrutturale del porto industriale, inoltre, rappresenta un elemento fondamentale dell'economia sarda.

Nel corso degli anni però qualcosa è andato storto nel progetto che più di trent’anni fa aveva immaginato di dare a Cagliari il ruolo di scalo commerciale, identificando il suo porto come terminal container per lo smistamento del traffico destinato ai principali approdi del Mare Mediterraneo.  Oggi è ancora più pesante dopo che il terminalista CICT, concessionario dello scalo per conto di Contship, affiliata alla tedesca Eurokai, ha deciso di non investire nell’adeguamento delle infrastrutture del porto per poter accogliere le grandi navi merci di ultima generazione che oggi solcano il mare Mediterraneo e di ritirarsi dallo scalo sardo. 

Infatti oggi la realtà della crisi è racchiusa nella curva in picchiata che descrive l’andamento del traffico merci negli ultimi tre anni: -37% nel 2017, con una flessione di 234mila Teu rispetto al 2016 (il Teu è l’unità di misura standard di volume nel trasporto container, equivale a 40 metri cubi), -49% nel 2018, con appena 205mila Teu movimentate contro le 403.621 del 2017, e una proiezione per il 2019 che si attesta su un ulteriore calo del 61%, ben al di sotto delle 100mila Teu totali lavorate. In pratica dal 2016 a oggi il porto industriale di Cagliari ha perso oltre l’80% dei suoi traffici.

Possiamo dire che Porto Canale aveva una capacità di movimentazione all’anno di 1,3 milioni di teu, ma al momento non si arriva a 215 mila teu all’anno. La Spezia e il porto di Tangeri, in Marocco ne movimentano più di un milione.

L’infrastrutturazione del porto industriale di Cagliari prevede la realizzazione di un sistema di trasporto efficiente, integrato, flessibile, sicuro e sostenibile per assicurare servizi logistici e di trasporto funzionali allo sviluppo del commercio.

Ridare a Cagliari l’attività del Porto Canale significa ampliare gli orizzonti commerciali della città, garantire maggiore stabilità e sostegno ai lavoratori, così da poter diminuire la disoccupazione-

Negli ultimi mesi al ministero dello sviluppo economico è stato avviato un percorso importante, per affrontare l’emergenza occupazionale, agganciandola a prospettive di rilancio del porto, evitando in tal modo il licenziamento dei lavoratori

In altri porti italiani, si stanno attrezzando per accogliere le grandi navi e si stanno sperimentando nuove tecnologie, sarebbe auspicabile che le istituzioni, a partire dalla Regione Sardegna, sappiano trasformare la crisi dello scalo di Cagliari in una opportunità di sviluppo e crescita del porto stesso, prevedendo i necessari investimenti in modo che l’attività del porto industriale possa ripartire con sperimentazioni che possano essere di riferimento per l’intero sistema portuale italiano, vista la collocazione geografica strategica del nostro Paese e della nostra isola.