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IL GRANDE SCUORNO - LA TERRA DEI FUOCHI IN CAMPANIA
IL GRANDE SCUORNO - LA TERRA DEI FUOCHI IN CAMPANIA

Forse, per chi vive fuori dalla Campania, la tragedia della emergenza rifiuti vissuta da questa ragione per quasi vent’anni può apparire un argomento vecchio, sepolto, dimenticato. Per noi, abitanti di questa infelice e martoriata terra, non è affatto così. Ciò che è accaduto in Campania tra il 1993 e il 2008 ha segnato nel profondo le nostre vite, sia come singoli, sia come collettività, con il ricordo di ciò che è accaduto, e la ricerca delle motivazioni per cui sia potuto accadere; ciò e resta un presente doloroso, difficile, se non proprio impossibile, da dimenticare. Tra la fine del 2007 e i primi sei mesi del 2008, più o meno metà della regione Campania ha vissuto una vicenda che non ha, non ha avuto e difficilmente potrà avere, paragoni in tutto l’Occidente: vedersi sommergere dai rifiuti. Letteralmente. Mai si era visto prima, almeno in epoca moderna che interi pezzi di uno Stato fossero sepolti dalla “monnezza”. Mai si era visto prima che “lo Stato”, nel senso più esteso del termine, ossia i suoi ministri, i suoi amministratori locali, le sue “autorità” civili e di polizia, allargassero le braccia in segno di resa non di fronte a una catastrofe naturale, non di fronte a un terremoto o un maremoto o un’inondazione; ma di fronte alle montagne di “monnezze” che inondavano le strade, alle montagne geometricamente accatastate della monnezza impacchettata delle cosiddette “ecoballe”. Ma, d’altro canto, è pur vero che nemmeno è stato edificante, negli stessi mesi e negli anni precedenti, lo spettacolo delle popolazioni locali che mai, nemmeno per un momento, hanno alzato la voce contro questa situazione al tempo stesso tragica, surreale, barbara. A Caserta, Marcianise, Napoli, Castellammare, Aversa, nei terribili giorni del gennaio 2008 si è continuato ad andare al cinema, al ristorante, a fare “shopping” tra le montagne di rifiuti, talvolta passandoci letteralmente attraverso come, insomma, in una sorta di unanime e gigantesco “chi tace acconsente” di massa.  Mentre invece si contestava, spesso con la vera e propria rivolta, l’apertura (o la riapertura) della discarica, del “sito di stoccaggio”, del termovalorizzatore: talvolta con piena e indiscutibile ragione (Acerra o la rivolta contro la decisione di riaprire la terribile discarica di Pianura del gennaio 2008); ma più spesso le rivolte avvenivano in contesti in cui le ragioni, i pretesti, gli alibi degli uni (gli abitanti) e degli altri (le “autorità competenti”) si sovrapponevano in un groviglio diventato col passare degli anni inestricabile e incomprensibile. Seguendo la ricostruzione della documentazione “ufficiale” (Atti della Commissione parlamentare e della Corte dei Conti, pubblicazioni giuridiche) e una non meno vasta documentazione giornalistica contemporanea agli avvenimenti, passando ovviamente per le tappe cruciali di questa vera e propria discesa nell’abisso della vergogna senza fine: l’istituzione del commissariato (1994), lo sdoppiamento del suddetto (dal 1996 al 2005); il (voluto?) fallimento della raccolta differenziata, pur prevista fin dal 1993: l’ infinito (e voluto?) ritardo nella costruzione dei termovalorizzatori, nonché le singolari disposizioni della relativa gara d’appalto; è allora apparso evidente che solo risalendo fino alla prima legge non (o male) applicata del 1993, si sarebbe potuto (cercare di) capire come si sia arrivati poi alla vergogna finale del 2008. Il progetto che si vuole realizzare è incentrato sulla “monnezza”, per così dire, “di sopra”, quella che, a un certo punto, sembrava essere diventata un periodico e quasi folkloristico nuovo tipo di arredo urbano, senza indagare sulla camorra. Tali organizzazioni, come si può leggere tutt’ora sui giornali, avevano interesse alla monnezza soprattutto “di sotto”; incuranti del fatto che tutta, letteralmente, la stampa del pianeta si occupasse di Napoli, della Campania e della sua vergogna. Chiedendosi senza riuscire a trovare una spiegazione: come è stato possibile?

Qualcuno ha detto: “chi dimentica il passato è condannato a riviverlo”. Tutto sommato, è questo l’unico vero e più profondo motivo per cui questo istituto, i suoi studenti e studentesse, il suo corpo docente, ritengono che un qualsiasi altro argomento non sarebbe stato altrettanto educativo.