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Articolo di Data Journalism

“Stamm’ sott’ o cielo”: una filosofia da sfatare tra monitoraggio vulcanico e early warning

Il fatalismo del detto napoletano rappresenta la filosofia di una città su cui si staglia il profilo affascinante, ma minaccioso del Vesuvio, costruita sui Campi Flegrei e distante pochi chilometri dall’isola d’Ischia: tre vulcani attivi, in una zona tra le più popolate del pianeta.

Stimare la pericolosità e la probabilità di eruzione del Vesuvio, dell’isola d’Ischia, e dei Campi Flegrei, anche sede del bradisismo, è possibile, grazie ad uno studio dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Il Vesuvio  potrebbe eruttare da un momento all'altro, ma l'evento può essere previsto.  E' sotto costante sorveglianza  ed i vulcanologi sono attenti a cogliere segnali che potrebbero  annunciare il suo risveglio; anche se non indicano con certezza il momento in cui si verificherà l’evento eruttivo, né la sua portata.

Il progetto SIT_MEW del CIRA dimostra come la tecnologia  potrebbe limitare gli effetti di grandi eventi calamitosi, anche se a breve termine e con un intervallo di pochi giorni, mediante lo studio dei fenomeni precursori e attraverso la storia eruttiva di un vulcano: la sorveglianza vulcanica è un sistema di osservazioni strumentali di fenomeni fisici, chimici e geologici che permettono di prevedere in anticipo un’eruzione. Il Vesuvio è monitorato h24, attraverso un sistema di strumenti che consente di individuare variazioni nei parametri fisico-chimici. Fig.1

La Campania è anche una delle Regioni d’Europa con la più elevata concentrazione di rischi naturali per rischio sismico e dissesto idrogeologico. Un disastro naturale è la conseguenza di un evento naturale violento, determinato da fenomeni (vulcani, terremoti, inondazioni) amplificati dall’attività umana. Può provocare la perdita di vite e causare danni che dipendono anche dalla densità di popolazione e capacità di risollevarsi dopo l’evento, e l’Italia un prezzo altissimo per le calamità naturali, anche perché ricca di siti di importanza storica ed artistica.

L’Italia è un paese fragile perché geologicamente giovane: ciò è evidente per l’intensa attività sismica e vulcanica ed i ricorrenti fenomeni erosivi che si verificano a breve distanza e dopo poche gocce d’acqua.

Perché l’Appennino è idrogeologicamente dissestato, sismico e, in Campania e in Sicilia, sede di vulcanesimo attivo, è il nucleo principale della fragilità del territorio italiano, non solo per la naturale predisposizione ai fenomeni calamitosi, ma anche per l’azione umana che, ignorando, per dolo o colpa, questa situazione, accelera i tempi delle dinamiche naturali, amplificando i danni collegati. La sismicità ed il vulcanismo sono importanti sorgenti di pericolosità che, associate all’elevata vulnerabilità del territorio, dovuta alla presenza di insediamenti umani ed infrastrutture, determinano un elevato livello di rischio.

Secondo uno studio di ricerca economica, il “Natural disaster in Italy: evolution and economic impact”, che ha calcolato gli impatti di terremoti, alluvioni ed eventi climatici sulle casse dello Stato, analizzando diversi indicatori, prevenire costerebbe meno che curare. Per quanto ovvio sul piano delle vite umane, esso è confermato anche sul versante economico.

Le alluvioni sono l’evento più frequente, il più economicamente impattante sono i terremoti. Più di 150 mrd (su 310) sono stati destinati a ricostruzioni a seguito dei terremoti più violenti. La messa in sicurezza e la prevenzione sono l’unica strada percorribile per diminuire questo costo, secondo i rapporti di ISPRA, IPCC, CNR e numerosi articoli scientifici.

Uno studio di Prometeia calcola in 36 mrd di E il costo della messa in sicurezza di strutture esposte a rischio in Italia; considerando i terremoti degli ultimi 15 anni, lo Stato ha speso oltre 40 mrd (l’UE calcola 46 mrd di danni complessivi: dieci in più del costo del piano di adeguamento degli edifici in zone esposte a rischio).

L’UE ha inaugurato un programma di aiuti per contrastare i disastri naturali nei paesi membri, l' European Solidarity Fund, FSUE.

A causa della vulnerabilità del nostro territorio, l’Italia è il maggiore beneficiario: ad oggi ha ottenuto 2,8 mrd (Fig.2): in occasione di 10 disastri naturali (più della metà dei 5,54 mrd stanziati in totale dal 2002 al 2019). Per i terremoti, sono stati stanziati circa 2,4 mrd. Aiuti minori sono arrivati dopo inondazioni (disastri naturali più frequenti in Europa) ed un’eruzione dell’Etna. L’Italia ha ricevuto aiuti pari al 4,8 % dei danni subiti (stimati 52 mrd), una quota maggiore della media europea del 4,2% del danno.

Il FSUE è stato riformato nel 2014, poiché non forniva una risposta rapida alle emergenze, introducendo semplificazioni procedurali, pagamenti anticipati, criteri chiari per la classificazione dei disastri e l’incentivo a migliorare la capacità di prevenzione delle catastrofi e di gestione del rischio da parte dei beneficiari degli aiuti, attraverso la programmazione e l’attuazione di specifiche strategie. L’ultimo cambiamento tocca il punto debole dell’Italia: utilizzare fondi pubblici per curare invece che prevenire, senza curarsi del futuro. Dall’analisi dei programmi operativi regionali per il 2014-2020 è emerso che poche regioni destinano risorse a prevenzione e gestione delle calamità e solo dopo averne subita una. In ogni caso, il Fondo rappresenta un esempio di valore aggiunto europeo, ossia di ciò che si può realizzare grazie all’appartenenza a una comunità e che sarebbe difficile ottenere da soli: non solo risorse accantonate e pronte per le emergenze, ma anche incentivi a utilizzare meglio i fondi pubblici, vincolando la concessione degli aiuti al miglioramento della capacità di gestione dei rischi e per iniziative di prevenzione.

Nel PNRR sono stati previsti 2,49 mrd di euro contro il disseto, ma rappresentano una goccia nell’oceano: per mettere in sicurezza il Paese ne servirebbero almeno 40.