
FRENALAFRANA nasce come progetto di monitoraggio di una particolare politica di coesione nell’ambito del nostro territorio comunale (Chieti), relativa il consolidamento delle zone di Piazza Monsignor Venturi e Via Modesto della Porta, per la mitigazione del rischio idrogeologico interessante le aree nominate. L’intervento, finanziato attraverso il Fondo di Coesione Sociale Piano ambiente programmazione 2014-2020, è nelle priorità del nostro comune da diversi anni, poiché la città di Chieti, come del resto buona parte del centro Italia ed anche altre zone della nostra penisola, risentono del problema del contenimento del dissesto idrogeologico. Ma di cosa si tratta e come si manifesta sul nostro territorio?
Il dissesto idrogeologico è l'insieme dei processi geomorfologici che producono la degradazione del suolo e di conseguenza l'instabilità o la distruzione delle costruzioni che sono localmente presenti; esso comprende tutti i processi naturali che corrompono un territorio, a partire dall'erosione superficiale o sotterranea, fino agli eventi più catastrofici quali frane e alluvioni. Il rischio di dissesto idrogeologico, assieme a quello sismico e a quello vulcanico, è da ritenersi uno dei maggiori rischi ambientali connessi alle attività umane. Si traduce nella pratica nell’aumento di frane e smottamenti causati dall’erosione del terreno o da esondazioni, eventi che solitamente ci aspettiamo quando si verificano condizioni meteorologiche anomale e o estreme (alluvione, pioggia alluvionale, nevicate copiose, ecc.). Potremmo, quasi matematicamente parlando, definire il rischio idrogeologico come il prodotto tra la probabilità che accada un evento idrogeologico ‘avverso’ (come ad esempio una alluvione o una frana) e i conseguenti danni ambientali potenziali su popolazione e infrastrutture, che possono derivare da questo evento. Secondo la formula descritta da David J. Varnes in un rapporto dell'UNESCO nel 1984 il rischio totale relativo al dissesto idrogeologico può essere espresso con una relazione che contempla i fattori seguenti: rischio totale, cioè il numero atteso di danni relativi ad un evento catastrofico in termini di vite umane, persone ferite, danni alle proprietà ed alle attività economiche; elementi a rischio, cioè la popolazione, le proprietà e le attività economiche potenzialmente in pericolo con riferimento a un dato fenomeno catastrofico; rischio specifico, che rappresenta il grado atteso di perdite legato ad un particolare fenomeno; pericolosità naturale, cioè la probabilità che un dato evento possa verificarsi in una data area in un certo periodo; vulnerabilità, che rappresenta il grado di danno atteso nei confronti di un elemento o di un insieme di elementi, espresso con una scala da 0 (nessun danno) a 1 (distruzione totale).
In Italia - dopo che per decenni si è provveduto con mere erogazioni statali di indennizzo dei danneggiati dalle alluvioni e dalle altre calamità - sono nati vari movimenti dal basso con la partecipazione anche di amministratori locali, volti a tutelare e difendere il territorio. La legislazione statale ha recepito l'esigenza di un approccio non frammentato geograficamente, preservando l'unità fisica dei bacini idrografici, con la legge n. 183 del 1989, di difesa del suolo, che istituì anche in Italia le Autorità di bacino. Le azioni attuabili in relazione a questo rischio sono fondamentalmente la previsione, la prevenzione e la mitigazione degli effetti. La previsione, secondo l'articolo 3 comma 2 della legge n. 225 del 1992, consiste nelle attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi.
La prevenzione, secondo l'articolo 3 comma 3 della stessa legge, consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all'articolo 2 anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione.
La mitigazione degli effetti distruttivi consiste nella serie di azioni attuate al fine di ridurre il rischio a persone, manufatti e ambiente. Al momento, per favorire la formazione nel settore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, è stato istituito, dal primo gennaio 2000, presso il Ministero dell'ambiente, il “Fondo nazionale” per l'alta formazione nel settore della difesa del suolo.
Inoltre, vi sono sul territorio agenzie pubbliche specializzate nello studio di tale fenomeno che stendono rapporti periodici e promuovono iniziative divulgative e di comunicazione per l’attivazione del territorio e la diffusione di politiche di contenimento di tale fattore di rischio. In particolare, L’edizione 2021 del Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia fornisce il quadro di riferimento sulla pericolosità associata a frane e alluvioni, nonché sull’erosione costiera per l’intero territorio nazionale e presenta gli indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, aggregati strutturali, imprese e beni culturali. Il Rapporto è redatto dall’ISPRA nell’ambito dei propri compiti istituzionali di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati in materia di difesa del suolo e dissesto idrogeologico riferiti all'intero territorio nazionale (artt. 55 e 60 del D.Lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”). Le nuove Mosaicature nazionali di pericolosità, realizzate sulla base dei Piani di Assetto Idrogeologico – PAI Frane e delle mappe di pericolosità idraulica secondo gli scenari del D. Lgs. 49/2010 di recepimento della Direttiva Alluvioni (2007/60/CE), tengono conto degli aggiornamenti forniti dalle Autorità di Bacino Distrettuali. Complessivamente il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media (tempo di ritorno tra 100 e 200 anni).
Sono oltre 8 milioni gli italiani che abitano in aree ad alta pericolosità e quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto idrogeologico e soggetto ad erosione costiera. La cifra calcolata da Ispra, Istituto Superiore per la Prevenzione e Ricerca Ambientale, relativa alle persone esposte al rischio frane e alluvioni sul territorio nazionale, comprende un milione e 300 mila residenti in zone a rischio frana, mentre quasi 7 milioni sono quelli che vivono in zone soggette alle alluvioni. Con quasi 3 milioni è l’Emilia Romagna la regione con i valori più elevati di popolazione esposta al rischio, seguita da Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475 mila), e Liguria (oltre 366 mila).
Per quanto concerne l’Abruzzo, la nostra regione, con una superficie avente estensione pari a 10.831,496 chilometri quadrati, 1.307.309 abitanti, 524.049 famiglie, 434.267 edifici, 109.925 imprese, 4603 edifici/beni culturali, si trova in una situazione mediamente elevata pericolosità, con il 5,65 della propria popolazione residente in aree a rischiosità elevata (Portale IDROGEO, fonte ISPRA).
Questi i dati del quadro nazionale e locale sulla pericolosità legata a frane, alluvioni ed erosione costiera dell’intero territorio italiano fornito dalla terza edizione del Rapporto “Dissesto drogeologico in Italia: Pericolosità ed indicatori di rischio”, presentato nel 2021, all'interno del quale al dato sulla popolazione fa riscontro anche quello degli edifici. I dati raccolti dal Rapporto dividono in tre livelli di pericolosità – molto elevata, elevata e media – il totale dei 14 milioni di strutture presenti sul territorio. Il rischio elevato e molto elevato riguarda oltre 565 mila edifici (3,9%), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7%) di strutture edilizie ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84 mila con 220 mila addetti esposti a rischio, mentre quelli esposti al pericolo di inondazione, sempre nello scenario medio, superano i 640 mila (13,4%). Segnali più positivi arrivano dal fronte dell’erosione costiera. Dopo 20 anni di interventi di protezione, i litorali in avanzamento sono superiori a quelli in arretramento. Il nuovo rilievo delle coste italiane ha consentito un aggiornamento dei dati sullo stato e sui cambiamenti in prossimità della riva: nel periodo 2007-2019, risulta in avanzamento quasi il 20% dei litorali nazionali e il 17,9% in arretramento. A fronte di un progressivo aumento dei tratti di costa protetti con opere di difesa rigide, rispetto al 2000-2007 aumentano i litorali stabili e in avanzamento e diminuiscono dell’1% quelli in erosione. A livello regionale il quadro è più eterogeneo: la costa in erosione è superiore a quella in avanzamento in Sardegna, Basilicata, Puglia, Lazio e Campania; le regioni con i valori più elevati di costa in erosione sono Calabria (161 km), Sicilia (139 km), Sardegna (116 km) e Puglia (95 km). Guardando alla situazione degli oltre 213 mila beni architettonici, monumentali e archeologici presenti in Italia, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12 mila nelle aree a pericolosità elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I beni culturali a rischio alluvioni – poco meno di 34 mila nello scenario a pericolosità media – arrivano a quasi 50 mila in quello a scarsa probabilità di accadimento (eventi estremi). Per la salvaguardia dei beni culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili.
Per quanto concerne il territorio di Chieti, rileviamo dalla stampa locale e dall'Istat in un report recente, che oltre settemila cittadini vivono in zone considerate «a pericolosità di frana elevata o molto elevata». Il rischio frane è un problema storico della città, che il Comune ha in programma di risolvere con un piano di interventi da 4,9 milioni di euro. C’è già il
via libera ai fondi per il progetto, ma sull’inizio dei lavori manca ancora una data certa. E nel frattempo spunta il dato che colpisce: il 14% dei cittadini di Chieti abita in zone a rischio elevato di frane, più di uno su dieci. I numeri sui residenti nelle aree a rischio della città (precisamente 7.244) sono relativi al report Istat del 2018: calcolando che in quattro anni la popolazione di Chieti si è ridotta di circa mille unità (oggi i residenti sono 49.139, ndr), probabilmente il numero è di poco più basso ma il succo della questione non cambia. Entrando nello specifico, sono 1.010 i teatini che vivono in zone a «pericolosità frana moderata». In 4.967, invece, vivono in quartieri ritenuti a rischio «elevato». Per 2.277 cittadini, invece, il rischio di dover fare i conti con le conseguenze del dissesto idrogeologico è «molto elevato». Quello dei movimenti sotterranei è un problema storico in città: l’ultimo episodio, in ordine di tempo, riguarda la zona dell’autoparco comunale, dove il terreno ha ceduto e sono spuntate delle crepe in uno degli edifici, costringendo il sindaco Diego Ferrara a disporre una chiusura forzata. Più aree cittadine, tra cui quelle interessate direttamente dalla politica di coesione in esame, hanno affrontato la questione frane e dissesto. A Chieti, tra l’altro, c’è da considerare che, delle 24mila abitazioni presenti sul territorio comunale, quasi l’80% è stato costruito prima del 1980. Anche i dati della provincia aiutano a non prendere sotto gamba la questione del dissesto. Su un’area totale di 2.600 km quadrati, il 22,4% del territorio della provincia di Chieti è a rischio frane elevata o molto elevata e negli ultimi 10 anni sono stati registrati trai 16 e i 20 fenomeni franosi di dimensioni notevoli.
Di fronte ad un problema così corposo, l’amministrazione comunale ha già annunciato che non resterà a guardare. Nel piano triennale di opere pubbliche, approvato nei mesi scorsi, è stata data la massima priorità agli interventi contro il dissesto. La partenza dei lavori è stimata nel 2023. Sono previsti, infatti, 500mila euro per mettere in sicurezza fossi, canali e cunette a rischio frana, la cui aggiudicazione deve avvenire entro il 18 maggio del prossimo anno. Due milioni di euro serviranno per la messa in sicurezza di via Arenazze, tra le zone considerate maggiormente a rischio. In questo caso i tempi di aggiudicazione si dilatano fino a ottobre 2023. Un altro milione di euro sarà dedicato agli interventi sul viadotto di Madonna delle Piane. Un totale di 1,2 milioni riguarderà la manutenzione straordinaria in diverse vie e strade del territorio. Da via Modesto della Porta, a cui sono stati destinati 500mila euro, a via Valle Para, la Colonnetta, il tratto viario di Colle Rotondo, strada Belvedere e strada Mucci, Fosso Paradiso, San Donato, via dei Vigneti, la Fondovalle, strada Santa Maria Calvona e via Carlo Madonna. Per i lavori al sottopasso di via Vomano, invece, saranno impiegati 200mila euro.
Al momento, stiamo raccogliendo dal nostro referente nel comune e nella ricerca documentale online i dati di dettaglio del progetto, che sembra già a buon punto rispetto alle attività di studio di fattibilità ambientale, e di relazione illustrativa del progetto e dello stato dell'arte: l'ammontare del fondo di coesione assegnato sulla base di un preventivo di spesa stimato pari a 830.000 euro ha visto spese realizzate e monitorate già per 249000 euro, erogati tra il 2021 e il 2022. Inoltre, i tempi sembrano essere in linea con quanto stimato inizialmente, almeno ad oggi. Sicuramente la conclusione dovrà slittare avanti, poichè parliamo di una progettualità articolata che non interessa solo strade ma anche edifici, ed in particolare un edificio di culto in piena zona di intervento, il quale è già stato più volte interessato dalle attività di contenimento del dissesto, di ristrutturazione che hanno sempre teso a mantenere gli spazi e l'architettura dell'edificio stesso. E pertanto, ci sarà anche questa volta un'accurata gestione delle misure di palificazione e drenaggio.
Infine, ci proponiamo di realizzare in più volte, interviste e colloqui con tecnici, progettisti, esercenti commerciali, parroco e residenti della zona proprio per capire in dettaglio lungo l'arco degli anni l'iter di gestione delle attività e eventuali disagi subiti sia per il dissesto che per i primi interventi di manutenzione.