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Articolo di Data Journalism

Chiudiamo le porte alla mafia: il riuso dei beni confiscati.

Le origini della mafia risalgono alla seconda metà dell'ottocento. In Sicilia, infatti, sopravviveva un sistema feudale che vedeva le grandi proprietà terriere nelle mani di pochi baroni ai quali si andava lentamente sostituendo la nuova classe emergente dei "burgisi". I proprietari  non coltivavano direttamente i lori feudi, ma ne affidavano la gestione al "gabelloto" grande affittuario che dava quote a piccoli coltivatori a compartecipazione. Al servizio del gabelloto c'era il campiere, sorta di guardia armata, cui si affidava il compito di assicurare l'ordine costituito nella campagna. Agli inizi la mafia fu quindi "mafia del feudo" articolata in gruppi di potere, le cosche, che si arrogavano il diritto di dirimere controversie, ricorrendo anche alla forza. Per il fascismo la risoluzione del problema mafia fu un modo per rafforzare il proprio potere, coerente con l'idea di Stato accentratore unitario. Nel 1924 Mussolini decise la nomina del prefetto Mori per condurre la lotta contro la mafia. A dare nuovo slancio alla mafia, a detta di diversi storici, fu l'accordo tra gli americani e cosa nostra, la quale si occupò di preparare lo sbarco alleato in Sicilia. In seguito a questo accordo, numerosi mafiosi detenuti negli USA vennero scarcerati ed espulsi. Inoltre, a compenso dei servizi resi agli americani i capi mafia dell'epoca, Don Calò Vizzini e Genco Russo, vennero imposti dal governo militare statunitense dei territori occupati come sindaci dei loro rispettivi paesi. Da quel momento in poi si andò sempre più rafforzando un sistema dove politica e criminalità organizzata intrecciarono accordi segreti, travolgendo tutta l'Italia. Il commercio con le droghe e le armi furono saldamente presi nelle mani dei capimafia. La svolta avvenne solo negli anni ’90 con l'omicidio dei due giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In seguito a questo tragico avvenimento, si potenziò la lotta a cosa nostra e si andò delineando la collusione tra pezzi dello Stato e mafia. In quegli anni si riuscirono finalmente a catturare alcuni dei principali boss della mafia: nel 1993 Totò Riina, nel 1996 Giovanni Brusca, nel 2006 Bernardo Provenzano e nel 2007 Salvatore Lo Piccolo. Dopodiché venne promulgata la legge che permise il sequestro di beni mafiosi. Tuttavia, si è ancora lontani dalla completa sconfitta della mafia, a causa delle strutture mafiose e delle forme di collusione ancora profondamente radicate nel territorio, ma la popolazione ha speranza nel costante progresso delle misure antimafia. Recentemente in Sicilia, in particolare tra le province di Agrigento e Trapani, c’è stata l’ennesima operazione antimafia che ha portato all’arresto di 22 persone, senza riuscire tuttavia ancora a catturare Matteo Messina Denaro; queste operazioni non hanno tuttavia determinato una sostanziale diminuzione degli episodi legati a Cosa nostra, infatti si registrano sempre nuovi casi a Trapani, Palermo, Canicattí e molte altre città siciliane. Attorno al sistema mafioso si crea un’organizzazione corrotta dall’omertà e da parti dello stesso Stato. Allarmante il dato che riguarda lo scioglimento per mafia dei comuni in Sicilia, fenomeno per cui la regione è da sempre stata una delle più note. Questo avviene poiché, secondo le autorità, ci sono delle infiltrazioni di tipo mafioso. Dal 1991, ovvero quando venne emanato il DL 164/1991, al 2020 sono stati sciolti per mafia circa il 52% dei comuni siciliani, tra cui: Misterbianco (CT), Capaci (PA), Castelvetrano (TP), Gela (CL), Licata (AG) e tanti altri. Noi del Victoria Team ci siamo interessati per lo più dei comuni sciolti in provincia di Trapani: solo Campobello di Mazara ha subito ben due scioglimenti (il primo nel 1992 e l’altro nel 2012), seguono Partanna e Mazara del Vallo nel 1993, Pantelleria nel 2003, Castellammare del Golfo nel 2006, Salemi nel 2012 e infine Castelvetrano nel 2017. Riassumendo invece tutti gli scioglimenti nel resto della Sicilia si possono contare: 6 comuni sciolti in provincia di Messina, 9 in provincia di Agrigento, 13 in Provincia di Catania, 8 in Provincia di Caltanissetta (tra cui 1 annullato e 1 in archiviazione), 36 in Provincia di Palermo (1 annullato + 1 in archiviazione), 3 in Provincia di Ragusa (1 annullato), 2 in Provincia di Siracusa (1 in archiviazione) , infine si registra 1 solo caso ad Enna, che è però in archiviazione. Ad oggi il totale dei beni confiscati in Sicilia è di 6268, la provincia con il maggior numero di confische è Palermo (3453), quella con il minor numero è la provincia di Enna (solo 55), invece la nostra provincia, quindi Trapani, conta ben 591 beni confiscati, tra cui 35 solo a Marsala, la nostra città. Dopo numerose ricerche ci siamo concentrati su quali tipologie di beni sono stati confiscati e sono principalmente emerse determinate categorie, ossia abitazioni (ville, case individuali e appartamenti), terreni, garage e posti auto, inoltre, approfondendo la nostra ricerca abbiamo rilevato quanti tra i beni sono stati poi riutilizzati: in realtà la percentuale è molto bassa, si tratta di 2845 in confronto agli oltre 6000 beni confiscati (non arrivando neppure al 50%). Un ultimo dato, particolarmente interessante, riguarda i progetti in corso in Sicilia relativi al recupero di beni confiscati, finanziati dall’Unione europea con i fondi strutturali 2014/2020. Abbiamo rilevato (fonte Opencoesione) che nella nostra isola sono in corso 43 progetti così suddivisi nelle nove province: Trapani 3; Palermo 11; Agrigento 4; Enna 2; Caltanissetta 0; Catania 10; Messina 5; Ragusa 4; Siracusa 4.